Iqbal e la Danza Magica
Photo by Brant Huddleston
Le persone sono come vetrate. Brillano e splendono quando c’è il sole, ma quando cala il buio, rivelano la loro vera bellezza solo se c’è una luce all’interno.
Elisabeth Kubler-Ross
Iqbal e la Danza Magica
Conobbi Iqbal, una giovane, donna musulmana sposata, circa sei mesi prima di partire per il mio viaggio. Il suo viso, incorniciato com’era dal suo khimar, non solo era luminoso – la donna splendeva di luce e bellezza. Non potei fare a meno di sentirmi attratto dalla sua raggiante energia positiva.
Con un master in pianificazione urbana, Iqbal ha una forte vision per il suo paese d’origine, quella di un “Marocco verde e prospero”. Dal momento che ero già alla ricerca di modi per aiutare le persone a viaggiare con leggeri veicoli elettrici eco-compatibili, tra me e Iqbal vi fu sinergia immediata, e ci incontrammo più volte davanti ad un caffè per esplorare i modi in cui avremmo potuto portare avanti la sua vision. Lei era entusiasta del mio piano di visitare il suo paese, e mi chiamò circa una settimana prima della mia partenza, solo per augurarmi buon viaggio. La conversazione, tuttavia, prese una piega inaspettata.
“Non andrò in Marocco in questo viaggio,” le dissi.
“Perchè no?” chiese.
“Perché è Ramadan e sarà tutto chiuso. Non potrò fare affari.”
Iqbal rimase in silenzio per un attimo, e poi pronunciò le parole che cambiarono tutto per me.
“Hai considerato che il tuo scopo in Marocco potrebbe non essere quello di ‘fare affari’ nella maniera in cui ti immagini?” disse Iqbal. “Perché non ti apri a una nuova possibilità… uno scopo diverso per il tuo viaggio? Forse, caro Brant, il Ramadan è il momento perfetto per andare.”
Il saggio consiglio di Iqbal era un ottimo esempio di ciò a cui le antiche scritture si riferiscono come profondo richiamo al profondo – il Divino Femminile che incita il Maschile Divino, dicendo: “Guarda! Il percorso si torce in questo modo. Seguimi e salvati dal finire nel dirupo”.
Mi sento fortunato ad aver ascoltato il consiglio di Iqbal, perché trasformò lo scopo del mio viaggio, rendendolo, per molti versi, un viaggio interiore, dentro l’anima, e verso una crescente accettazione di me stesso per ciò che sono, non il successo aziendale che aspiravo ad essere, ma qualcosa di diverso – un’anima in trascendenza transitoria.
Praticamente niente di ciò che è scritto in questo libro, nessuna delle osservazioni, nessuna delle intuizioni, nessuno dei momenti catturati, sarebbe stato documentato, e forse neppure visto, se non fosse stato per quella conversazione con Iqbal.
Mi pare di capire che la parola Namaste significhi: “mi inchino alla divinità che è in te”, così a Iqbal dico, con tutto il cuore, Namaste.
***
Quando mi trovavo in Marocco, presi parte al digiuno del Ramadan, bevendo solo acqua durante il giorno aspettando il richiamo serale del Moadhin, che segna la fine del digiuno. La temperatura riaggiunse i 45°C durante il mio primo giorno a Marrakech, così a differenza dei devoti musulmani che evitano persino l’acqua, scelsi di rimanere idratato mentre camminavo per l’ardente città.
Alle otto di quella sera stavo riposavo dal calore del giorno, dopo essermi fatto una doccia, quando ricevetti un invito inaspettato. Tre giovani musulmani stavano per interrompere il digiuno, e mi invitarono ad unirmi a loro. Avevo programmato di uscire a cena un ristorante, ma mi ricordai il consiglio dell’apostolo Paolo che disse: “Mangia tutto ciò che ti viene offerto”, così accettai il loro invito.
Mi vennero offerti cremoso latte intero mescolato con uno sciroppo di menta dolce, pane farcito con verdure, tè alla menta e datteri. Proprio mentre mi sedevo, il richiamo del Moadhin giunse attraverso gli altoparlanti della città, e tutti e quattro spezzammo il pane… un ex cristiano evangelico dagli Stati Uniti con i capelli grigi e tre giovani musulmani marocchini dalla pelle color caffè. Fu, come dice il personaggio di Humphrey Bogart nel film Casablanca, “l’inizio di una bella amicizia”.
Consumato il pasto, i tre uomini cominciarono a ballare. Li raggiunsi immediatamente. La musica era marocchina, sia tradizionale che moderna, e mi piaceva. Il suono della musica e la frivolezza richiamò altri ospiti dell’ostello e la festa crebbe. Presto fummo raggiunti da altre quattro donne e altri due uomini, persone provenienti da Germania, Grecia, Colombia, Francia e Repubblica Ceca. Non c’era l’alcol, ma una donna francese aprì un pacchetto che aveva preso nella città marocchina di Chefchaouen, famosa per il suo sorprendente centro storico dipinto di blu… e per il suo hashish. Alcuni di noi fumarono il derivato organico della pianta e ne seguì una ilarità gioiosa.
Inizialmente solo gli uomini ballavano mentre le donne sedevano sul divano, ridacchiando, e facendo video della nostra ridicolaggine da condividere con i loro amici. Avevo sentito dire che “una donna non può seguire dove un uomo non conduce”, e sembrava fosse proprio così. Ci vollero diversi inviti da parte degli uomini prima che le donne si unissero alla danza, ma quando lo fecero, la festa si trasformò in un vero e proprio party.
Quando il nostro party si concluse, mi lavai il sudore della mia danza di dosso sotto la doccia e strisciai a letto, la parte inferiore di un letto a castello in una stanza di sei, contento di aver stretto nuove amicizie. L’ostello non era dotato di aria condizionata, ma avevo la fortuna di avere una finestra aperta accanto al mio letto a castello, attraverso la quale si diffondeva una cacofonia di suoni notturni provenienti dalle strade sottostanti – le risate dei bambini, il mormorio oscuro della lingua araba, una strana e lontana melodia suonata da un oud, il gemito incessante delle moto, e l’amichevole tubare delle colombe. Rimasi sveglio ad ascoltare.
Dopo la mezzanotte le strade si calmarono fatta eccezione per l’occasionale torrido gemito di un gatto difendendo il suo territorio, corteggiando una compagna, o entrambi. Il profumo di spezie – cumino, pepe nero, zenzero, cannella, paprika, e zafferano – si diffondeva attraverso la mia finestra aperta da coni dai colori vivaci nel vicino mercato, alti come cappelli da mago e altrettanto magici.
Trascorsi quella notte calda in uno stato di dormiveglia, l’Adhan dei miei sogni mi chiamava a venire, inchinarmi e inginocchiarmi in una moschea fatta non da mani umane, ma foggiata dalla materia della fantasia, dalla mia coscienza mistica, ricordi distorti come riflessi in uno specchio deformante e terrori della tana del drago. Venni trascinato via come Aladino sul suo tappeto magico, nella notte stellata nera come l’inchiostro, in luoghi sconosciuti, fino a quando la mattina seguente giunse la salvezza dell’alba, i primi raggi di sole illuminavano la mia finestra e il ronzio del richiamo del Moadhin attraverso l’altoparlante, “Venite alla preghiera. Venite alla preghiera.”
Un altro giorno a Marrakesh.
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